Meditazione – La mancanza di continuità nella pratica
Riporto al centro della mia e della vostra attenzione la mancanza di continuità nella pratica di meditazione, intesa in senso tradizionale, ovvero come pratica di posizione seduta a gambe incrociate, dinanzi ad un altare, ad una rappresentazione iconografica od ad un semplice muro.
In questo articolo, il secondo sull’argomento, cito e affronto tre cause:
- le relazioni personali affettive con il proprio marito/moglie o compagno/compagna;
- la difficoltà di accettare la realtà, percepita inconsciamente, di tutte le cose della vita;
- l’adozione del meccanismo psicologico “della ricompensa” nell’approccio alla spiritualità e alla religione.
La prima causa si riscontra prevalentemente nei praticanti più giovani: dopo aver trovato un partner si inizia a meditare più di rado e spesso si interrompe del tutto, dopo un certo periodo.
Le culture di quasi tutte le religioni non aiutano creando un antitesi tra la pratica religiosa più profonda e sacra del clero religioso e il matrimonio.
Il Buddhismo non fa eccezioni: pensiamo alle regole monastiche dei monaci delle tradizioni più antiche e anche di alcune moderne.
Le motivazioni che ci spingono a formare una coppia sono differenti: innanzitutto l’impulso e il desiderio sessuale.
Spesso “demonizzato”, il sesso è in realtà una forma di energia universale presente in ogni essere ed è naturale come altri impulsi e desideri primari (cibo, acqua, sonno ecc…).
Una relazione tra uomo e donna o tra due esseri dello stesso sesso può quindi nascere per condividere desideri e piacere sessuale ma non solo.
Può nascere per coltivare un amore romantico, platonico: ci sentiamo soli e una relazione di coppia ci protegge in questa società centrata sui consumi di massa e per molti aspetti violenta.
Talvolta iniziamo una relazione per un diverso istinto e la relazione si mantiene viva e “frizzante” fino a quando l’aspetto irrazionale viene meno e sorge la realtà concreta delle cose, meno “romantica” e più dura da affrontare.
In ogni caso un autentico ricercatore spirituale si chiede se l’energia assorbita dal matrimonio sia di impedimento al proprio percorso spirituale e di quello delle persone che lo affiancano.
Non esiste, a mio parere, una risposta univoca: una persona non impegnata seriamente in una relazione può comunque non dedicare energie alla spiritualità e alla meditazione in particolare. E viceversa.
E’ del tutto irrilevante, quindi, vivere una relazione in un contesto di ricerca spirituale.
E’ importante che non fuggiamo dalla vita quotidiana attraverso la spiritualità o la meditazione: la vita quotidiana è la costante compagna del nostro percorso terrestre come esseri umani, la sola eternità che possiamo incontrare.
Una eternità fatta di cambiamenti continui, comunque, fatta di relazioni e reazioni continue e quindi costituita da pensieri, sentimenti, reazioni fisiche ed emotive.
Chi rifugge da questo o insegna a rifuggire per tutta la vita da questo ha ben poco di spirituale.
I ritiri, gli eremitaggi sono molto importanti ma costituiscono tappe del nostro cammino spirituale non il traguardo.
Si può quindi essere sposati e dedicare comunque una buona parte delle proprie energie alla meditazione.
Una seconda causa di abbandono della pratica è più psicologica.
Sta nella differenza essenziale tra conoscere e comprendere non verbalmente.
L’approccio al Buddhismo è spesso dottrinale, accademico.
Non è difficile studiare le tecniche di meditazione, se di tecniche talvolta si parla…non è difficile leggere e comprendere verbalmente la dottrina buddhista di base.
Tuttavia la comprensione intellettuale della verità non è seguita automaticamente da una comprensione non verbale.
I desideri, gli impulsi, i comportamenti istintivi e l’incostanza tipica della mente ci portano sostanzialmente a non accettare la realtà dell’impermanenza e della sofferenza.
E’ estate tra poco: quanti di voi pensando al sole, al mare, alle vacanze, si sentono più felici e non meditano?
Se dopo la comprensione verbale il vostro stile di vita non cambia ebbene questo è un sintomo della presenza dei semi di questa causa di abbandono.
Riteniamo, ad esempio, che le cosiddette caratteristiche del se o me siano intrinseche alla nostra natura e non indotte dal passato o dal contesto socio culturale di riferimento.
In questo caso la spiritualità diventa più un ostacolo che un beneficio alla propria vita.
E si abbandona.
Lo stesso errore della prima causa descritta: la religione o spiritualità come “scudo protettore” verso una società cattiva e violenta.
Addirittura talvolta ho sentito parlare del “Rifugio” buddhista nel Buddha, Dharma e Sangha proprio in questi termini!
Infine la terza causa di abbandono cui faccio solo un cenno è quella legata al cosiddetto meccanismo psicologico della “ricompensa”.
Senza pretese scientifiche eccessive si tratta del meccanismo che ci porta a ripetere un determinato comportamento per la gratificazione che esso ha procurato.
Chimicamente la presenza di un neuromediatore come la dopamina prodotto in situazioni “piacevoli” ci porta alla ripetizione delle situazioni stesse e talvolta alle dipendenze.
Avviene anche su internet e in particolare con I social network: pensiamo al piacere indotto da “likes” e attestazioni similari di altri utenti.
Riscontro questo meccanismo di gratificazione anche nella pratica buddhista: ad esempio nelle interazioni con un “maestro” dal punto di vista di un allievo oppure dal sentirsi “importante” e “apprezzato” dal punto di vista di chi guida gruppi di meditazione o si definisce “maestro”.
L’assenza di consapevolezza del funzionamento del cervello ci porta spesso a ripetere gesti e comportamenti avvolti in un’alea “romantica”, convinti di procedere verso l’illuminazione salvifica o la santità.
Salvo poi talvolta svegliarci sudati e impauriti, proprio come dopo un brutto sogno.
Buona pratica.
Hae Myong
Hae Myong Per alcuni anni guida anche le pratiche del gruppo genovese di tale comunita’ religiosa presso i locali dell’Associazione “UnSoloCielo” in via San Lorenzo a Genova. Nel 2009 riceve a Seoul dal monaco Tae Hye Sunim i cinque precetti Buddhisti e assume il nome di Dharma di Mu Mun. Nel 2009 risiede per alcune settimane in Corea presso i principali templi dell’Ordine Jogye. Nel 2010 e 2012 visita alcuni templi in Thailandia. Nel 2014 inizia a studiare presso l’Institute for Buddhist Studies USA (IBS) dell’Ordine coreano zen Taego-jong affiliato con Dong Bang College of Korea. Nel 2015 partecipa ad alcuni ritiri spirituali organizzati dall’Ordine Taego in USA. Nel 2016 riceve il diploma dall’IBS dopo aver terminato i due anni di studi ed aver superato tutti gli esami e la tesi finale. Nel 2017 riceve i precetti del Bodhisattva presso l’Associazione Bodhidharma in Lerici. Nel 2018 viene ordinato in Polonia Dharma Teacher dall’Ordine Taego-jong e riceve il nome di Dharma di Reverendo Hae Myong. La mia pagina facebook
Inizia a studiare da autodidatta il Taoismo cinese nel 2004 e presto si avvicina allo studio della cultura zen e buddhista.
Nel 2006 inizia a praticare presso l’Associazione “Bodhidharma” di Lerici del monaco buddhista Tae Hye Sunim, di ordinazione coreana e birmana, una sorta di pratica che accoglie aspetti della tradizione Theravada e della tradizione Mahayana del Buddhismo.