Come si “ascolta” il sintomo

Estratto dal Libro: L’Anima nel Corpo

Abbiamo dunque visto che il primo passo per accogliere il sintomo è ACCETTARE che sia presente.
Il secondo passo è l’ASCOLTO. E come possiamo ascoltarlo?
Comprendendo innanzitutto che esso ha un suo linguaggio simbolico che va compreso attentamente.
Abbiamo visto nel capitolo precedente che non è casuale il luogo del soma in cui si somatizza, e abbiamo compreso come esista dentro di noi una cosiddetta “saggezza del corpo” che esprime contenuti psichici attraverso il sintomo. Ma questi contenuti vanno interpretati, perché così come sono dati non sono immediatamente comprensibili.

Il nostro LINGUAGGIO è dunque una delle vie attraverso cui possiamo accedere al significato simbolico del sintomo. Infatti il sintomo è analogico: questo aspetto lo possiamo ravvisare egregiamente nel modo in cui parliamo quando descriviamo i nostri sintomi.
Infatti quando una persona sta parlando dei suoi sintomi in realtà sta già dicendo qualcosa sulla sua condizione interiore. Quando diciamo che abbiamo un “nodo in gola” è perché qualcosa di non detto e non chiarito è rimasto bloccato in gola, dove risiedono le corde vocali; quando diciamo che si ha “un peso sullo stomaco” è perché troppi rospi sono stati ingoiati passivamente e noi non abbiamo fatto nulla per impedirlo.
Quando un dolore “ci trafigge” è perché ci sentiamo pugnalati da qualcuno o qualcosa.
Avere un bruciore da qualche parte è similare a quando diciamo “mi fa bruciare di rabbia”: quindi le irritazioni (di
qualunque genere esse siano) sono sempre legate alla rabbia che da qualche parte in noi ci sta bruciando, irritando. Insomma, nel modo stesso in cui descriviamo un sintomo possiamo cominciare a ravvedere un significato che riguarda la nostra vita.

Se poi a questo uniamo anche il significato simbolico della zona colpita dal sintomo allora possiamo arrivare a una comprensione maggiore del messaggio che lo psicosoma ci vuole inviare.
Il modo in cui lo descriviamo ci dice un sacco di cose sulla condizione psichica originaria di cui esso è il simbolo.
La persona, se la ascoltiamo attentamente mentre descrive i suoi sintomi, ci sta già parlando della sua interiorità
e di cosa la affligge. “Sento un masso sullo stomaco come se pesasse 100 chili”; “Mi prude così tanto che mi strapperei via la pelle”; “Vedo così male che non riesco più a distinguere bene le cose”; “Le vertigini stanno facendo cadere i miei punti di riferimento”; “Il collo mi fa così male che mi sembra me lo stiano tirando indietro con
forza”; “Questa nausea mi sta facendo stare tutto sullo stomaco”.

Un orecchio allenato e intuitivo sa cogliere già delle informazioni da queste descrizioni.
In tutti questi casi il corpo vive quello che la persona in questione non vuole ammettere neppure a se stessa.
Così il desiderio inconscio si realizza nel corpo e utilizza come sintomo un sintomo per portare a livello di coscienza il desiderio vero e proprio. Il pensiero analogico esige la capacità di astrazione, perché bisogna riconoscere concretamente il principio che viene espresso e trasferirlo su un altro piano.

Tutti i contenuti della coscienza hanno la loro corrispondenza nel corpo e viceversa.
Ovviamente bisogna facilitare questo linguaggio. Come? Imparando a descrivere i sintomi come se dovessimo farli capire a un bambino, con termini semplici ed evitando completamente termini medici e diagnostici che sulla condizione interiore non hanno proprio nulla da dire.

Non mi interessa che mi si dica “Ho la gastrite”. Mi interessa che mi si descriva come la si vede, che sintomi dà, a cosa la associamo ecc.
Facciamo qualche esempio. Una persona mi descrive così la sua ciste al dito indice della mano destra: “E’ come una pallina che sembra sfuggire via se tento di prenderla, come se scappasse dalla sua sede”.
C’è quindi qualcosa che riguarda il bisogno di fuggire da una sede. Qui bisogna iniziare a farsi delle domande.
Il soggetto è ovviamente la persona che sta esperendo il sintomo.
Quindi, “Da dove senti il bisogno di fuggire? Da quale sede in cui attualmente ti trovi?”.
La paziente risponde “Da casa dei miei… mi sento giudicata da mio padre”.
Palesemente si esprime il tema del giudizio (puntare il dito indice contro qualcuno) e presumibilmente qualcuno
di sesso maschile (il dito era della mano destra e la destra rappresenta il maschile).

Vediamo un altro esempio: una paziente mi dice che ha i piedi gelidi, anzi dei veri e propri geloni, e non si sa spiegare perché. Le chiedo di descrivermi i suoi piedi.
Mi dice che li sente “gelidi, freddi, e il dolore è forte, quando sono freddi, come se mi sentissi una lama conficcata dentro”. Le chiedo dunque “A cosa ti fa pensare il freddo?” e lei mi risponde “A qualcosa che mi evoca solitudine e mancanza di calore”.
Le dico che il gelo ha a che fare con sensazioni di non amore, da parte delle proprie radici (ovvero i piedi, che sono il nostro tramite con la terra), cioè le figure significative della propria vita. In sostanza il suo sintomo voleva dirle “Il dolore è forte quando mi sento abbandonata”.
Le torna la mia metafora, perché si è da poco lasciata con il compagno, quindi le è rimasto il gelo dentro, e i piedi segnalano le uniche estremità che ci tengono attaccati alla terra, al nutrimento, al procedere autonomo nella vita.
Si tratta del nostro punto d’appoggio al suolo, della parte sulla quale tutto il nostro corpo poggia e si appoggia per gli spostamenti e per i movimenti. Il piede ci permette di «spingere» in avanti e di conseguenza di avanzare, come pure di bloccare i nostri appoggi e, conseguentemente, di rimanere sulle nostre posizioni.
Si tratta della chiave simbolica dei nostri sostegni «relazionali». Infine è un simbolo di libertà in quanto consente il movimento. Cosa può fare dunque la persona in questione per farsi passare questo sintomo?
Accettare questo vuoto d’amore e darselo lei stessa.
Nel frattempo deve nutrire altre radici: le sue. La notte successiva decide di concentrarsi su una meditazione di amore per se stessa e subito sente sciogliersi il gelo. Prende atto che è questa la strada verso cui continuare.

Infine un terzo esempio. Anni addietro si presentò da me un signore che dopo aver peregrinato da mille medici decise di tentare una strada diversa. Come sempre si pensa a questo approccio come ultima spiaggia dopo “averle tentate di tutte”. Mi dice che ha degli acufeni che lo tormentano da anni.
T (terapeuta): come le sembrano questi acufeni? Me li descriva a parole sue evitando termini medici P (paziente): sembrano come delle moschine ronzanti e fastidiose, non le sopporto più, T: e le moschine cosa le evocano? A cosa la fanno pensare? Che fanno queste moschine? P: una gran baldoria… un festino nelle mie orecchie T: interessante… e lei vorrebbe fare un po’ di baldoria?
Continuando a indagare scoprii che il signore era represso nella sua vita. La moglie lo teneva in clausura, nulla gli era permesso. Gli dissi:  bene, vuole che i suoi acufeni le passino? Si svincoli dal controllo militare di sua moglie e viva. Esca, riprenda contatto con gli amici, faccia baldoria P: e se non mi riesce di convincerla?
T: si prenda comunque ciò che le appartiene, non deve avere il suo permesso.
Continuammo a lavorare per un po’ di sedute su questa linea del riprendersi la propria libertà perduta.
Ad oggi il signore ha ripreso vita sociale, i suoi acufeni sono passati… e il suo matrimonio è in crisi, ma almeno lui è guarito.

C’è anche un altro indizio molto importante oltre al linguaggio che si usa per descrivere il sintomo: la TEMPORALITA’. È importante ricordare l’esatto momento in cui il sintomo è apparso.
Quello che conta qui non sono solo i fatti in sé e per sé che sono accaduti in concomitanza o che hanno preceduto l’evento, ma lo stato d’animo interiore di quel frangente.
Di quali pensieri, argomenti e fantasie ci si stava occupando quando è apparso il sintomo? Di che umore si era? Erano giunte notizie particolari, c’erano stati cambiamenti nella vita?
In che stato d’animo ci stavamo trovando?
Va tenuto presente che spesso proprio i fatti ritenuti privi di importanza e poco significativi nella realtà risultano importanti. Analizzate il momento in cui il sintomo si è manifestato.
Interrogatevi sulla situazione di vita, i pensieri, le fantasie, i sogni, gli eventi e le notizie relativi al momento della comparsa del sintomo.
Tutto questo è estremamente importante per aiutarci nel decifrarne il senso.
Facciamo anche qui degli esempi.

(continua nel libro…)

Scopri il Libro
L’Anima nel Corpo

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Chiara Pica, dott.ssa in psicologia con approccio Psicosomatico.
Fin dalle scuole superiori sviluppa la sua inclinazione per le tematiche legate alla psicologia. Durante gli ultimi anni universitari, allontanandosi progressivamente dalla mera dogmatica accademica, inizia ad esplorare in modo attivo i rapporti tra mente e corpo.
Dopo una profonda crisi personale, si avvicina ed integra ulteriori contenuti, spaziando tra le antiche filosofie orientali e le più moderne tecniche psico-energetiche. Rivoluziona grazie a questi elementi il suo modo di lavorare, andando oltre i concetti di “sostegno psicologico” o di “terapia” per elaborare il suo approccio come Evoluzione Interiore Psicosomatica, con il quale cerca di condurre le persone alla riscoperta del proprio vero Sé, al di là di credenze limitanti, schemi mentali depotenzianti, false identità, aspettative esterne, blocchi e paure.

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