Meditazione Zen – L’assenza dell’IO

L’assenza di un “io” è una caratteristica peculiare della visione buddhista dell’esistenza.

Se l’impermanenza, a cui abbiamo dedicato un articolo due settimane fa, era una visione del reale comune a tanti pensieri religiosi e filosofici,  l’assenza di un “se” o “io” ha caratterizzato e ha distinto da subito il buddhismo rispetto alle altre religioni.

Perché parliamo di assenza di “se” o “io”?

Perché prima di sederci e meditare, prima di maturare una visione profonda del reale, abbiamo la necessità di comprendere la visione buddhista dell’esistenza: il buddhismo è indubbiamente impregnato di pessimismo e questo non ci piace, generalmente, quando lo studiamo ma è una filosofia che indica con fermezza anche una via di uscita dal dolore e dalla sofferenza.

E su questa via di uscita dobbiamo necessariamente camminare, con consapevolezza.

Altre filosofie e il loro sviluppo in religioni o non amplificano l’analisi degli aspetti dolorosi dell’esistenza o semplicemente li eludono, anche perché cosi facendo diventa di sicuro molto più facile attrarre adepti e seguaci…

Il buddhismo non segue questa strada,  addirittura arriva a negare quello che noi gelosamente consideriamo “nostro” per eccellenza, l’io o il se.

Noi buddhisti non alimentiamo l’attaccamento all’io perché, a parte negarne l’esistenza, consideriamo tale attaccamento come la “passione” più pericolosa, quella che ci porta a distinguere noi stessi dagli altri, che siano persone, animali o elementi naturali.

La distinzione che coltiviamo e le inevitabili relazioni della vita quotidiana ci portano poi a maturare con il “diverso da noi” sia desideri che avversioni, sia concetti, idee che costruzioni mentali.

Tutto questo ha un’utilità pratica, badate bene: non dobbiamo mistificare e “rifugiarci” in illusioni e pensieri mistici, che ci fornirebbero un sottile piacere ma che durerebbero un battito di ciglia.

Nella vita di tutti i giorni, nella comunicazione personale, è utile fare riferimento a un “me”, ad un “io”, ma ciò non deve distoglierci dall’accettazione della realtà profonda, ovvero la sostanziale vacuità insita in tutte le cose della nostra vita.

Perché vacuità?

Perché assenza di un “io”?

Noi buddhisti riteniamo che gli esseri umani e tutti i fenomeni ,compreso quello che convenzionalmente viene definito “io”, siano il frutto dell’aggregazione di più fattori, non distinguibili singolarmente, se non a livello divulgativo, in quanto esistenti per brevi momenti e tra loro interconnessi ed interdipendenti, e in sviluppo continuo.

Trattasi di forme dinamiche di eventi che definirei “energetici”.

Questi fattori sono le forme (elemento fisico), le sensazioni, le percezioni (elemento cognitivo), le formazioni mentali (elemento volitivo) e infine la coscienza, che accoglie tutti e quattro i precedenti fattori.

I fattori si combinano tra loro per effetto del karma (ne abbiamo già parlato e ne parleremo) e danno l’illusione di un io permanente, di un’anima che ci accompagnerebbe in modo stabile durante la nostra vita fisica e addirittura anche dopo il decesso del corpo fisico.

Noi riteniamo che né i singoli aggregati né il loro insieme siano permanenti e stabili.

Riflettiamo su cosa accade quando pratichiamo meditazione, da quando iniziamo la sessione a quando terminiamo: analizziamo la nostra insofferenza o la pace che avvertiamo, viviamo il tempo ad essa dedicato, alla luce di questo rivoluzionario modo di intendere noi stessi.

Per molti non è facile abbandonare l’idea di non “avere” un proprio “io” immutabile ed eterno: ci possiamo sentire privi di basi solide.

Il discorso scivola poi necessariamente su un piano sociale.

In una società come quella attuale, post industriale e dipendente dai consumi di massa, dove l’essere umano ha valore prevalentemente come consumatore di prodotti e servizi o come possessore di denaro o di “merci” da vendere, incluso il proprio corpo, noi buddhisti dovremmo ribellarci a qualsiasi imposizione concettuale della società che sia non consapevole.

E cosi dovremmo fare anche all’interno delle stesse tradizioni buddhiste, con i dogmi e le imposizioni concettuali non sperimentate direttamente da noi stessi.

Proprio il concetto di “io” rientra tra queste imposizioni che sin da bambini ci ritroviamo: è radicato in noi dalla nascita, cosi ci hanno insegnato.

Ci siamo creati immagini e idee di noi stessi, degli altri, cui ci attacchiamo e desideriamo che emergano nei contesti sociali che frequentiamo, anche su internet.

Ci siamo creati dei “ruoli”: madre, moglie, marito, dottore, avvocato mentre la sola realtà biologica che ci differenzia è quella di uomo o donna (senza offesa per chi ha caratteristiche di entrambi i sessi).

Questo ha sviluppato enormemente il senso dell’io.

Ci vengono venduti prodotti e servizi mediante la pubblicità che spesso in modo molto subdolo tende ad allargare e coltivare il mio “io” alias il mio ego, attraverso la semplice uguaglianza “soddisfazione dell’ego uguale felicita’”.

Percorriamo questo percorso di vita senza neanche accorgercene, come cani affamati bramosi continuamente di soddisfazioni effimere e attimi di felicità fugaci per poi spesso sprofondare di nuovo nell’altalena dell’insoddisfazione e della depressione.

Il buddhismo indica quindi una via per uscire da questo percorso.

Quale via?

Ci siamo arrivati!

Il silenzio!

Una dimensione nuova trascende la nostra vita quotidiana: la vita di suo rimarrà apparentemente la stessa ma con la meditazione buddhista e in particolare quella della mia scuola, la Zen, la cessazione dell’assorbimento energetico per pensieri, concetti, idee libererà enormi risorse interiori e ci aiuterà ad abbandonare paure ed ansie.

Staremo radicati meno nell’io e useremo concetti e idee per quello che sono e per la loro utilità relativa.

E’ la dimensione trascendente del silenzio, della meditazione, la via di uscita dalla prigione immaginaria dell’io e dell’ego.

Hae Myong

Hae Myong
Inizia a studiare da autodidatta il Taoismo cinese nel 2004 e presto si avvicina allo studio della cultura zen e buddhista.
Nel 2006 inizia a praticare presso l’Associazione “Bodhidharma” di Lerici del monaco buddhista Tae Hye Sunim, di ordinazione coreana e birmana, una sorta di pratica che accoglie aspetti della tradizione Theravada e della tradizione Mahayana del Buddhismo.

Per alcuni anni guida anche le pratiche del gruppo genovese di tale comunita’ religiosa presso i locali dell’Associazione “UnSoloCielo” in via San Lorenzo a Genova.

Nel 2009 riceve a Seoul dal monaco Tae Hye Sunim i cinque precetti Buddhisti e assume il nome di Dharma di Mu Mun.

Nel 2009 risiede per alcune settimane in Corea presso i principali templi dell’Ordine Jogye. Nel 2010 e 2012 visita alcuni templi in Thailandia.

Nel 2014 inizia a studiare presso l’Institute for Buddhist Studies USA (IBS) dell’Ordine coreano zen Taego-jong affiliato con Dong Bang College of Korea.

Nel 2015 partecipa ad alcuni ritiri spirituali organizzati dall’Ordine Taego in USA.

Nel 2016 riceve il diploma dall’IBS dopo aver terminato i due anni di studi ed aver superato tutti gli esami e la tesi finale.

Nel 2017 riceve i precetti del Bodhisattva presso l’Associazione Bodhidharma in Lerici.

Nel 2018 viene ordinato in Polonia Dharma Teacher dall’Ordine Taego-jong e riceve il nome di Dharma di Reverendo Hae Myong.

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