La città delle parole

Lettere ingiallite dall’attesa, lettere mai scritte o mai spedite.
Aiuole di parole, strade di discorsi, alberi di ripensamenti; così appariva quella strana città.
La città delle parole.

Queste parole erano talmente in esubero che le case erano tenute in piedi dai vocaboli più robusti. Vocaboli che avrebbero potuto cambiare le sorti, i destini, far fiorire menti e innescare pacifiche ribellioni ma, invece, non pronunciati, servivano solo per sostenere tetti e cornicioni.

Gli sproloqui, come le parole d’efflorescenza, se non esternati sparivano nella lontana città, ma stranamente non erano molti.
Sporcavano appena qualche panchina del parco dei ragionamenti, come escrementi di pensieri volanti. Perché, non si conosce il motivo, la gente dal blaterare non perde mai l’incentivo.

Nascoste nei cassetti dei sensi di colpa e negli armadi della paura, invece, c’eran parole di così superba bellezza e mistico ardore, boriose di fasti e scritte con cerimoniosa adorazione dell’Altrove. Quante di queste lettere viaggiano in uno spazio tempo lontano, cercando in un sogno l’agognato destinatario.
Volano impudenti tra rose rosse e riverberi di luce, tra palpebre socchiuse e gaudenti fantasticherie, per annidarsi tra i pensieri e compromettere ordinate vie.
Una di queste lettere spezza-respiro, sfarfalla-cuore, arrossa-guance, finì tra i pensieri di una disincantata ragazza poco avvezza a romanticherie e sproloqui, così, come uno spavento, un botto, un rumore inaspettato, si ritrovò nella città dal ruolo sopracitato.

Camminò scacciando quelle discussioni come si fa con mosche insistenti, chiedendosi dove fosse finita. In quel luogo dove le parole si attaccavano alle dita, ronzavano nelle orecchie e si infilavano sulla lingua, era impossibile ignorare il proprio destino.
E quando fu pronta e sufficientemente capace trovò sulla strada un poeta audace.
Portato nella città da un sogno, raccoglieva a piene mani ispirazioni per il suo fabbisogno, e visto che il coraggio non gli mancava, aveva intenzione di divulgare tale trama.
Tornati nel loro ambiente, divennero servi della Parola, perché le amorevoli espressioni vanno pronunciate, vanno scritte e divulgate.
Che nessuna parola di vitale fioritura sia più trattenuta a fior di labbra dalla vile paura.

Enrica

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ENRICA ZERBIN nasce il 1 ottobre del 1973 a Adria (Rovigo) tra campagna, mare e il delta del fiume Po. Figlia di pescatori e agricoltori i quali le hanno insegnato il rispetto per la natura, i suoi cicli e, contemporaneamente , il rispetto verso le persone.
Nel dicembre del 2015 esordisce col suo primo romanzo: Tu mi hai salvato la Vita, edito da Cinquemarzo: una storia sull’importanza degli avi e la saggezza degli anziani, dell’amore nato in circostanze impensabili, ma soprattutto una narrazione capace di sensibilizzare sull’importanza della donazione del midollo.
Tra il 2016 e 2017 vince alcuni piccoli concorsi letterari con i racconti brevi: Mister Green Hat, I racconti del Fiume e ll Signor Senza Nome, storie sul cambiamento e sull’incontro col proprio Sé. Ricercatrice e studiosa del mito greco e norreno, della simbologia di varie culture, degli archetipi, del femminile sacro e della Grande Dea fino allo sciamanesimo.
Si interessa ai tarocchi e alle rune come strumento di indagine interiore.
Femminista attiva sulle pari opportunità, e sulla sensibilizzazione necessaria al problema della violenza.
Con questo intento ha scritto un importante articolo per l’associazione UDI di Ferrara intervistando una donna Nigeriana, per raccontare l’orrore del suo viaggio; dalla Nigeria, lungo il deserto del Ciad, l’orrore libico fino al suo arrivo in Sicilia.
A breve uscirà la sua seconda opera: “La Danza Del Seme Selvaggio”, avventurosa storia di due donne in viaggio tra boschi di montagna, con la sola guida di una mappa disegnata da una vecchia strega.
Nelle sue opere al femminile, sottolinea l’importanza del viaggio, che sia mistico o fisico per superare i limiti imposti da società e credenze sbagliate a cui la donna ha dovuto sottostare per secoli.
“Le storie sono ovunque. Il vento, poi, le soffia nei pensieri. Vorrei librarmi in volo per afferrarle e poterle raccontare.”

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